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Giornata mondiale delle zone umide: si celebra ogni anno per aumentare la consapevolezza sulla loro importanza e tutela

Oggi ricorre la “Giornata mondiale delle zone umide”: si celebra ogni anno il 2 febbraio per aumentare la consapevolezza sull’importanza di queste aree, sulla necessità di proteggerle e ripristinarle a beneficio sia delle persone che del Pianeta. Il tema cambia ogni anno per concentrarsi sui diversi aspetti della conservazione e della gestione, per il 2024 è: “Le zone umide e il benessere umano” per sottolineare la connessione tra la salute fisica, mentale e ambientale.

Foresta di mangrovie, Kenya. Foto di Stefania Andriola

La data ricorda l’anniversario dell’adozione della Convenzione di Ramsar nel 1971, un trattato volto a conservare e utilizzare in modo sostenibile le zone umide di ogni Paese. Ramsar, città iraniana sul mar Caspio, fu appunto sede dell’importante conferenza internazionale durante la quale venne approvata la Convenzione relativa alle zone umide di importanza mondiale, soprattutto come habitat degli uccelli, promossa dall’Ufficio Internazionale per le Ricerche sulle Zone Umide e sugli Uccelli Acquatici con la collaborazione dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura e del Consiglio Internazionale per la protezione degli uccelli.

Parco del Delta del Po, foto Stefania Andriola

Lagune, acquitrini, torbiere, mangrovie, fiumi, stagni, laghi, paludi, specchi d’acqua dolce o salmastra: il mondo oggi richiama l’attenzione sulla loro ricchezza in termini di biodiversità e su quanto siano fondamentali per i numerosi servizi che assicurano il nostro benessere, tra cui la regolazione del clima. Sono infatti luoghi essenziali per la nostra sopravvivenza: sono serbatoi di carbonio che aiutano a contrastare i cambiamenti climatici, depurano le acque, proteggono dalle inondazioni, favoriscono la crescita di vegetazione che fornisce fibre e materiali, garantiscono cibo e ospitano migliaia di specie, soprattutto pesci e uccelli.

Foresta di mangrovie, Kenya. Foto di Stefania Andriola

Si tratta però di ambienti a rischio: più dell’80% è scomparso dal 1700 e solo dal 1970 ad oggi ne abbiamo perso oltre il 35%. Ciò che resta diventa quindi ancora più prezioso e va salvaguardato o ripristinato con ogni mezzo: la biodiversità di questi ambienti si sta estinguendo al ritmo del 4% ogni 10 anni contro l’1% degli ambienti marini e terrestri. Nonostante la loro importanza ecologica, le zone umide infatti devono affrontare numerose minacce, tra cui perdita e degrado degli habitat, inquinamento, sfruttamento eccessivo e cambiamento climatico.

Tanzania. Foto di Stefania Andriola

La conversione delle zone umide in spazi dedicati all’agricoltura, all’urbanizzazione e allo sviluppo delle infrastrutture ne ha determinato una perdita significativa e l’inquinamento derivante dal deflusso agricolo, dagli scarichi industriali e dai rifiuti urbani rappresenta una minaccia grave per la qualità dell’acqua negli ecosistemi delle zone rimanenti. I cambiamenti climatici aggravano questi pericoli alterando i modelli delle precipitazioni, aumentando la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi e causando l’innalzamento del livello del mare che colpisce le zone costiere come le mangrovie e le paludi salmastre.

Parco del Delta del Po, foto Stefania Andriola

Questi ambienti sono il luogo ideale per anatre selvatiche, uccelli limicoli, spatole che migrano dai Paesi più freddi per svernare. In questi anni si stanno osservando variazioni sia nelle rotte migratorie che nei periodi di permanenza degli uccelli, probabilmente a causa del cambiamento climatico: specie che prima raggiungevano il Centro Africa per trascorrere i periodi più freddi utilizzando la nostra Penisola come ponte di sosta, tendono a restare: accade per assioli, Cavalieri d’Italia e persino per le rondini.

Foresta di mangrovie, Kenya. Foto di Stefania Andriola

Si tratta di un trend che va osservato negli anni per verificarne la reale portata. Inoltre osservazioni con numeri record di fenicotteri si sono verificate negli stagni costieri come Orbetello e Diaccia Botrona, un’area naturale protetta tra la città di Grosseto e la località costiera di Castiglione della Pescaia; sempre in Toscana si vede anche un aumento di specie cosiddette aliene, come l’ibis sacro. La salinizzazione eccessiva di alcune lagune poi riduce la presenza di specie più sensibili a questo fattore come le folaghe.

Parco del Delta del Po, foto Stefania Andriola

Per ricreare piccole zone umide per favorire il ripristino di habitat naturali fondamentali per molte piante acquatiche rare, per invertebrati come libellule, coleotteri d’acqua dolce, molluschi, pesci anfibi il WWF ha coordinato, nell’ambito del progetto LIFE Gestire 2020, conclusosi nel 2023, la realizzazione di oltre 140 tra stagni, pozze di montagna, abbeveratoi come habitat riproduttivi per anfibi protetti come rana di Lataste, tritone crestato italiano, ululone dal ventre giallo e pelobate fosco insubrico.

Parco del Delta del Po, foto Stefania Andriola

Per favorire il ripristino di zone umide volte all’assorbimento di nutrienti provenienti dall’agricoltura o dalla zootecnia, in collaborazione con l’Università di Parma, è in corso un progetto per ridurre l’inquinamento da nutrienti in una delle aree più critiche della Pianura Padana tra il Mincio e l’Oglio. Per ripristinare le zone umide perifluviali (lanche e rami laterali) il WWF insieme ad ANEPLA, è stato promotore del progetto di rinaturazione de Po inserito nel PNRR che prevede il ripristino di ben 700 ettari di zone umide lungo il Po dal Piemonte al Delta.

Tanzania. Foto di Stefania Andriola

Da nord a sud nelle Oasi WWF per tutto il weekend 2-4 febbraio sono previsti eventi speciali dedicati a questi ambienti.

 

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