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Italia, ANIMALI SELVATICI sotto il fuoco incrociato di incendi e fucili

Cambiamenti climatici e incendi, caccia legale e bracconaggio: direttamente o indirettamente l’Homo sapiens seguita a rendersi responsabile della strage più o meno silenziosa degli animali selvatici, nonché della distruzione di interi habitat, vitali anche per il benessere e la sopravvivenza della propria specie.

Tra il 2019 e il 2020 tre miliardi di animali sono stati uccisi, feriti o privati del loro habitat dagli incendi che hanno devastato le foreste australiane. Secondo un rapporto commissionato dal WWF, si è trattato di “uno dei più gravi disastri per la fauna e la natura nella storia moderna”.

In Europa quest’anno sono morti milioni di animali selvatici a causa dei numerosi e vasti incendi divampati nell’area mediterranea, soprattutto in Italia, Grecia e Turchia. Nel nostro Paese, dall’inizio dell’estate gli incendi dolosi e colposi hanno distrutto oltre 110 mila ettari di territorio, tra boschi, aree agricole, oasi e parchi protetti, uccidendo tra i venti e i ventiquattro milioni di animali, bruciati vivi o intossicati dal fumo.

Crediti ESA/NASA– Thomas Pesquet, dalla Stazione Spaziale Internazionale: gli incendi boschivi estendono il loro fumo sul Mar Mediterraneo

“Stop alla caccia in tutta Italia”: gli appelli di Enpa ed Europa Verde

A fronte di questa strage, nella quale hanno perso la vita anche diverse persone, il 12 agosto l’ENPA ha inviato una lettera al Ministro per la Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, e al Ministro per le Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, chiedendo “lo stop alla caccia in tutta Italia, non solo nelle aree interessate dagli incendi, dove è già previsto per legge” . “Il Ministero della Transizione Ecologica e il Ministero delle Politiche Agricole – afferma Carla Rocchi, presidente di ENPA  – hanno il diritto e il dovere di intervenire nella prioritaria tutela del bene comune rappresentato dalla fauna selvatica e dalla biodiversità, dal momento che le regioni non applicano l’articolo 19 della legge nazionale 157 del 1992, sospendendo l’attività venatoria: anzi, semmai fanno l’esatto contrario” .

La caccia si aprirà fra poche settimane, dunque “occorre intervenire subito con ogni strumento a disposizione per impedire un ulteriore massacro che si andrebbe ad aggiungere a quello che sta avvenendo in questi giorni”.

Anche Eleonora Evi e Angelo Bonelli, i co-portavoce di Europa Verde, chiedono “che si intervenga immediatamente, in primo luogo con un provvedimento che ripristini subito il Corpo Forestale dello Stato, ma anche vigilando sull’applicazione del catasto degli incendi e tutelando la fauna già fortemente compromessa. A tal proposito, – concludono – oggi [12 agosto, ndr] invieremo una diffida in cui chiederemo a Cingolani di esercitare i poteri sostitutivi per sospendere l’attività venatoria su tutto il territorio nazionale“.

La caccia in Italia

Per la Legge 157 del 1992 “la fauna selvatica è considerata patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale. L’esercizio dell’attività venatoria è consentito purché  non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole”.

In Italia la caccia è permessa dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio di ogni anno e, a seconda delle Regioni, può essere praticata dai 3 ai 5 giorni la settimana. Può essere autorizzata anche al di fuori del calendario venatorio, come nel caso delle pre-aperture (l’apertura della stagione viene anticipata al 1° di settembre), con abbattimento di animali molto giovani e ancora dipendenti dai genitori, dei posticipi (la chiusura della caccia  viene spostata al 10 febbraio), della caccia in deroga, praticata su alcune specie di uccelli in stato precario di conservazione, come l’allodola, la pernice bianca, la tortora selvatica e la coturnice, e la caccia di selezione. Quest’ultima è condotta sugli ungulati, quindi cervi, daini, caprioli, camosci, mufloni e, soprattutto, cinghiali in base a censimenti e stime relative al numero di capi presenti sul territorio e sull’impatto nell’ambiente in caso di mancato equilibrio.

Le specie cacciabili in Italia sono quarantotto e ogni cacciatore ha la possibilità di uccidere un numero massimo di animali per ogni giornata venatoria (carniere giornaliero) e un numero massimo per stagione (carniere stagionale). Basandosi sul numero di cacciatori, che in Italia è di circa mezzo milione, e sui carnieri (il registro del numero di animali uccisi durante una battuta di caccia) delle Regioni Veneto, Lombardia, Sicilia e Toscana, la LAV (Lega Anti Vivisezione) ha stimato che “ogni anno possono venire uccisi legalmente almeno 400 milioni di animali selvatici”.

animali a rischio caccia
Foto Pixabay by mtorben

L’attività venatoria è pericolosa per gli animali, compreso l’uomo, anche per altri aspetti: sono decine ogni anno i feriti e i morti tra cacciatori e persone che abitano o semplicemente transitano nelle zone di caccia, ai quali si aggiungono gli animali domestici, a loro volta feriti o uccisi accidentalmente. I pallini di piombo dispersi nell’ambiente durante le battute di caccia, oltre ad inquinare le acque ed il terreno, rappresentano una grave minaccia per molti uccelli acquatici, come aironi, cigni, oche e fenicotteri, che ingerendo inavvertitamente i pallini che trovano nelle zone umide in cui vivono, muoiono per saturnismo,  cioè avvelenamento da piombo. Anche i grandi rapaci come l’aquila reale e il gipeto, un avvoltoio, sono esposti a tali rischi: nutrendosi delle carcasse degli ungulati abbattuti dai cacciatori, possono ingerire anche frammenti di piombo, intossicandosi. Entrando nella catena alimentare, questo metallo ha naturalmente effetti assai nocivi anche per la salute umana.

Fortunatamente il Parlamento europeo nel 2020 ha approvato il bando per le munizioni al piombo nelle zone umide. I singoli Stati membri avranno tempo due anni per adeguarsi e i cacciatori potranno utilizzare solo cartucce in acciaio.

“La sfida per liberare le zone umide europee dai veleni dei pallini di piombo, che va avanti da oltre vent’anni – ha commentato  Danilo Selvaggi, direttore generale della Lipu, appena appresa la notizia – è oggi vicinissima alla meta. Dopo gli ultimi passaggi europei, il recepimento nazionale dovrà essere rapido e completo”.

La piaga del bracconaggio in Italia

Agli animali uccisi legalmente si aggiungono quelli uccisi dai bracconieri, persone che praticano la caccia in violazione della normativa nazionale, abbattendo specie protette o prelevando specie cacciabili, ma in quantitativi oltre il consentito.

Il bracconaggio in Italia colpisce soprattutto i piccoli uccelli migratori e specie protette di rapaci. Da un’indagine condotta dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), risulta che l’uccisione, la cattura e il commercio illegale di uccelli siano pratiche diffuse su tutto il territorio nazionale.

È tuttavia possibile individuare sette “black spot”, zone in cui l’attività illegale del bracconaggio è particolarmente intensa: le Prealpi lombardo-venete, il Delta del Po, le coste pontino-campane, le coste e zone umide pugliesi, la Sardegna meridionale, la Sicilia occidentale e lo Stretto di Messina. A queste zone “calde” se ne aggiungono altre dove il bracconaggio, pur non essendo così intenso, appare comunque più frequente che nelle restanti parti del territorio, come la Liguria, la fascia costiera della Toscana, la Romagna, le Marche, il Friuli-Venezia Giulia.

Nelle Prealpi lombarde, in particolare nelle valli bresciane e bergamasche è diffusa la cattura illegale in autunno attraverso l’impiego di archetti, trappole, reti e vischio. Migliaia di piccoli uccelli migratori vengono catturati e uccisi prevalentemente a scopo alimentare, per perpetuare la tradizione dello spiedo con gli uccellini. Analoghe attività, condotte essenzialmente con reti e richiami, sono praticate nelle Prealpi venete e in Friuli. A restarne vittima sono soprattutto pettirossi, pispole, spioncelli e fringuelli, ma le specie che possono rimanere intrappolate sono moltissime, perché i mezzi di cattura utilizzati non sono selettivi.

Nel Parco del Delta del Po, una delle aree umide più importanti d’Europa per la sosta degli uccelli, si spara o vengono condotte catture con reti verticali durante le ore notturne, attirando i migratori in arrivo dall’area balcanica con richiami acustici elettronici, illegali, e luci artificiali.

Nelle isole dell’Arcipelago Pontino e dell’Arcipelago Campano, punto di sosta per migliaia di piccoli uccelli migratori che dall’Africa raggiungono l’Europa per riprodursi, le catture avvengono a partire dal mese di marzo, per poi proseguire sino a tutto maggio, a volte anche con richiami vivi.

In Sardegna è diffusa una forma di bracconaggio ai tordi praticata principalmente tra novembre e febbraio nel Sulcis meridionale. I tordi vengono uccisi per essere venduti ai ristoratori locali per la preparazione di un piatto tipico, le ”grive” (i tordi, in sardo) al mirto. Anche in questo caso, dal momento che i mezzi di cattura non sono selettivi, oltre ai tordi vengono uccisi uccelli appartenenti a molte altre specie: tra le vittime più frequenti ci sono pettirossi, occhiocotti, pernici sarde, fringuelli e frosoni.

Anche gli uccelli acquatici sono oggetto di bracconaggio, praticato spesso di notte, mediante l’utilizzo di mezzi di caccia vietati (come i richiami acustici elettronici), anche in aree protette ed in periodi in cui la caccia è chiusa, a danno di specie cacciabili e protette. Tra le zone maggiormente interessate da queste pratiche illecite, spiccano il Litorale Domizio, in Campania, e le zone umide della Capitanata, in Puglia. Non mancano tuttavia segnalazioni di situazioni problematiche anche in altri contesti, soprattutto in alcune zone della Sicilia e del Delta del Po.

animali caccia
Foto: Parco Delta del Po, Salina di Comacchio

L’abbattimento dei rapaci con armi da fuoco è una pratica tuttora diffusa su gran parte del territorio nazionale e l’incidenza del fenomeno è sottostimata, in quanto non tutti gli uccelli colpiti vengono recuperati. Questa attività viene praticata soprattutto in corrispondenza dello Stretto di Messina. In questo caso gli uccelli vengono abbattuti mentre sono in migrazione attiva tra l’Africa e l’Europa. Il numero di uccelli abbattuti ogni anno sullo stretto era molto elevato sino ad un recente passato; una stima recente è di 200-300 rapaci uccisi in primavera e 400-600 in autunno. Inoltre, il prelievo di giovani rapaci dai nidi è un’attività particolarmente redditizia e spinge molte persone a commettere furti di uova e pulcini, soprattutto nelle aree con economia svantaggiata.

Azioni anti bracconaggio

Il problema del bracconaggio in Italia è sempre stato grave, tanto da indurre l’Unione Europea ad avviare nel 2013 una procedura EU Pilot nei confronti dello Stato italiano, con una successiva richiesta di chiarimenti che, se non fosse stata soddisfatta, avrebbe portato all’apertura formale di una procedura di infrazione.

A seguito dell’attivazione della Procedura Pilot, nel 2016 lo Stato italiano ha avviato un percorso di confronto e di condivisione con le Istituzioni (Forze dell’Ordine, ISPRA, Ministeri, Regioni) e con associazioni ambientaliste e venatorie per la redazione e l’approvazione, l’anno successivo, del Piano d’azione nazionale per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici”. Successivamente, sono stati rilasciati da ISPRA e dal CUFA (Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri) rapporti annuali sull’esecuzione del Piano: la fonte più autorevole sullo stato del bracconaggio e dell’antibracconaggio in Italia.

Tra le numerose associazioni ambientaliste impegnate in attività anti-bracconaggio vi sono invece il CABS (Committee Aginst Bird Slaughter), una realtà internazionale che dal 1975 contrasta il bracconaggio in Europa e annualmente redige un  “Calendario del cacciatore bracconiere” con l’analisi della caccia illegale in Italia,  e l’Associazione Mediterranea per la Natura (MAN).

Quest’ultima, sul versante siciliano dello Stretto di Messina, è stata fondata molti anni fa da Anna Giordano, soprannominata la “Signora dei Falchi”, una naturalista che da quarant’anni combatte il bracconaggio e che per il suo impegno nel 1998 ha ricevuto il prestigioso Goldman Environmental Prize. La sua storia è raccontata in un bell’articolo di Paola D’Amico pubblicato dal Corriere della Sera nell’ottobre del 2017.

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