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Temporali e previsioni meteo: istruzioni per l’uso

Perché è così difficile prevedere i temporali? Una spiegazione e qualche esempio pratico a cura del meteorologo Lorenzo Danieli

L’inizio del semestre caldo rappresenta per molte regioni italiane anche l’inizio della stagione dei temporali: nei mesi più caldi dell’anno, infatti, buona parte delle piogge che osserviamo sul nostro Paese sono associate a fenomeni di tipo convettivo, vale a dire precipitazioni che nascono da nubi a forte sviluppo verticale chiamate cumulonembi. La forma stessa dei cumulonembi ci fornisce visivamente in modo assai efficace alcuni indizi sulla loro natura: non è difficile immaginare le impetuose correnti ascensionali che si sviluppano al di sotto di questa nube, il vapore acqueo che condensa alla sua base determinandone il confine netto e poi la corsa in verticale dell’aria satura, spesso fino ai confini della troposfera, a creare le bianche torri nuvolose che conferiscono alla nube il classico aspetto di un cavolfiore. In effetti ciò che distingue un fenomeno convettivo temporalesco è proprio l’intensità dei moti verticali (decine di metri al secondo) che si osservano all’interno delle nubi cumuliformi, velocità superiori di alcuni ordini di grandezza rispetto alle tipiche velocità verticali che caratterizzano l’atmosfera (qualche cm al secondo). Un temporale però, per essere definito tale, deve produrre anche attività elettrica, tuoni, lampi e fulmini insomma: si ritiene che generalmente ciò si verifica quando le velocità verticali superano i 5 m/s.

Esiste una correlazione tra la quantità di fulmini che osserviamo e l’intensità della celle convettiva che li genera: i temporali più forti, di solito, sono associati a numerose fulminazioni.

Figura 1 Immagine del radar meteorologico relativa alle ore 14.40 del 3 aprile 2021. Fonte: archivio radar del Centrometeolombardo (http://www.centrometeolombardo.com/radar/)

La figura 1 è un’immagine ottenuta grazie al radar meteorologico relativa al primo pomeriggio del giorno 3 aprile 2021 che mostra buona parte della regione Lombardia: i colori più caldi, il rosso in particolare, rappresentano rovesci di pioggia abbastanza intensi. Questo breve episodio temporalesco si è sviluppato intorno alle ore 14 qualche kilometro a nord di Bergamo e poco dopo ha raggiunto il capoluogo. Una seconda cella temporalesca, più debole, è attiva sulla Brianza lecchese e sfiora la provincia di Monza; questa cella è stata quasi certamente innescata dalla cella bergamasca. Il temporale “madre” ha generato accumuli di pioggia di circa 40 mm (equivalenti a 40 litri per metro quadrato) su una piccola porzione della bassa Val Seriana e solo pochi mm su Bergamo; il secondo temporale, prima di esaurirsi nel Milanese, ha prodotto una decina di millimetri di pioggia su una ristretta fascia del Lecchese. Abbiamo scelto questo caso solo per mostrare una situazione molto comune, vorremmo dire di “ordinaria amministrazione”, che caratterizza la stagione convettiva. Quello descritto, in effetti, fu l’unico episodio di pioggia che si osservò quel giorno in Lombardia; su gran parte della regione non piovve affatto, mentre in un paio di località si ebbe quasi un piccolo nubifragio, ma non si trattò di un caso particolarmente speciale. I temporali si comportano quasi sempre così, nascono all’improvviso e si esauriscono su piccole aree dando luogo a maltempo a volte severo (forti piogge, grandinate, raffiche di vento) mentre a pochi kilometri di distanza non succede niente.       

Figura 2: rappresentazione del concetto di stabilità e instabilità atmosferica (tratta da http://pressbooks-dev.oer.hawaii.edu/atmo/chapter/chapter-5-atmospheric-stability/)

Avendo constatato la natura “dispettosa” di questo tipo di fenomeni, non dovremmo nemmeno essere troppo sorpresi che essi siano difficili da prevedere.

La previsione dei temporali mette in difficoltà anche i più evoluti modelli fisico-matematici che forniscono indicazioni al meteorologo e, naturalmente, il meteorologo stesso: è bene che l’utente finale che legge il bollettino e guarda le icone sul suo strumento ne sia consapevole. Che cosa, in particolare, rende così arduo la previsione dei fenomeni convettivi? La risposta ovviamente richiederebbe ben più che queste poche righe, ma possiamo dire che la difficoltà risiede essenzialmente nella piccola scala del fenomeno (a volte solo pochi km) e nella particolare miscela di ingredienti che sono necessari alla loro formazione. Affinché si sviluppi un temporale devono infatti essere presenti:

  • sufficiente umidità
  • sufficiente instabilità
  • un innesco (“triggering”)

L’umidità di cui si “nutre” un temporale è soprattutto quella presente negli strati più bassi dell’atmosfera, i più vicini al suolo, che sono anche quelli dove gli errori modellistici sono maggiori (errori di inizializzazione e/o errori dovuti alla parametrizzazione dello strato limite turbolento). L’instabilità atmosferica (nel caso dei temporali il riferimento è soprattutto alla cosiddetta instabilità condizionale) è legata al profilo verticale di temperatura e di umidità. Possiamo immaginare di spingere verso l’alto una bolla d’aria inizialmente vicina al suolo e di seguirne la sua evoluzione: salendo l’aria si raffredda e a un certo punto il vapore in essa contenuto inizia a condensare (in funzione del suo contenuto di umidità); adesso l’aria è satura e continuando a salire si raffredda più lentamente (il processo di condensazione, infatti, libera calore). Ad una certa altezza la temperatura della bolla potrebbe risultare più alta rispetto a quella dell’atmosfera circostante e pertanto inizierà a subire la spinta di galleggiamento, la forza di Archimede, che la porterà a salire ancora. Ecco spiegato il significato dell’instabilità o viceversa, della stabilità: in un atmosfera instabile una perturbazione iniziale che sposta l’aria verso l’alto innesca un processo che rinforza la perturbazione stessa, come la pallina rossa della figura 2: una piccola spinta e la pallina proseguirà da sola nella direzione imposta dalla perturbazione; la pallina blu, al contrario, tenderà a tornare nella posizione di partenza (in atmosfera ciò corrisponde a una bolla che salendo si trova circondata da aria più calda entro la quale tenderà a affondare). Da ultimo, ma non per importanza, vi è la questione dell’innesco: parliamo della perturbazione (che in un’atmosfera instabile può essere anche piccola), della spintarella iniziale che è necessaria affinché la nostra bolla di aria calda e sufficientemente umida possa iniziare il suo viaggio verso il cielo per poi, eventualmente, mettersi a correre.

Figura 3 Densità di fulminazioni (fulmini/km2/anno) sulla Lombardia nel 2001. Immagine tratta dalla guida “Temporali&valanghe” redatta dalla Regione Lombardia (2007).

Nel mondo reale i tre ingredienti che abbiamo menzionato sono presenti in proporzioni sempre diverse e di volta in volta possono giocare ruoli sottili nella genesi o nella soppressione dell’attività convettiva: in Italia, ad esempio, durante la stagione estiva è piuttosto comune osservare lunghi periodi in cui l’instabilità è potenzialmente abbondante (alti valori dell’indice CAPE, Convective Available Potential Energy), ma in cui scarseggiano le perturbazioni in grado di innescarla. In queste situazioni gli eventuali temporali si sviluppano principalmente in prossimità dei rilievi, dove le condizioni sono generalmente più favorevoli (i rilievi costituiscono sorgenti elevate di calore, sono aree dove possono convergere le brezze e dove una massa d’aria può essere più facilmente sollevata ad opera della circolazione a più grande scala). La figura 3, benché si riferisca ad un anno soltanto, illustra con chiarezza come le fasce prealpine della Lombardia siano di gran lunga più temporalesche rispetto alla pianura. L’esempio che abbiamo proposto all’inizio di questo articolo rappresenta una situazione certamente meno comune: quel giorno sul territorio lombardo l’instabilità e l’umidità erano oggettivamente scarsi, come testimoniato dal radiosondaggio di Milano Linate; in compenso proprio a quell’ora si assisteva al brusco ingresso di venti un poco più freddi da est sulla pianura che verosimilmente hanno contribuito a sollevare l’aria in quel particolare punto della pedemontana bergamasca, l’unico in tutta la regione dove i tre ingredienti si sono combinati nel modo giusto.

Questa disamina, ancorché breve e necessariamente molto incompleta, vorrebbe suggerire che quando in un bollettino meteo si parla di temporali all’utente è richiesto un piccolo surplus di attenzione.

Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che nessuna previsione meteorologica è in grado di stabilire l’ora e la località precisa in cui domani si svilupperanno dei temporali; non limitiamoci dunque a “guardare” l’icona con la nube ed il fulmine stilizzati che ci appare sul telefonino, ma cerchiamo anche di leggere il testo del bollettino: “possibili temporali” non ha lo stesso significato di “probabili”; “temporali isolati” è diverso da “temporali sparsi”. L’incertezza può generare frustrazione, un forte temporale purtroppo può dare origine a danni ingenti e perfino causare vittime; più spesso, per fortuna, che sia stato correttamente previsto o meno, sarà stato solo una manifestazione naturale che ci ha lasciati pieni di meraviglia … e magari ci avrà invogliato a cercare un testo di meteorologia per imparare a conoscerla meglio.

 

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