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Come sarà l’inverno? Fatti e misfatti a proposito di previsioni stagionali

Lavorando in un centro meteorologico la domanda “come sarà il prossimo inverno?” o la prossima estate, è fra quelle che, si può starne certi, verrà posta numerose volte al malcapitato in turno.

Una domanda del genere può scaturire semplicemente dalla curiosità di un appassionato di gite sugli sci, ma la risposta possiede indiscutibilmente un significativo valore economico per una vasta categoria di operatori: coloro che lavorano nel mondo dell’energia, nella finanza, nel turismo, nell’agricoltura, nelle assicurazioni, eccetera.

E’ bene mettere in chiaro da subito che le previsioni di questo tipo, dette previsioni stagionali appartengono ancora al settore della ricerca scientifica, hanno un carattere sperimentale e devono pertanto essere maneggiate con grande cautela.

Le previsioni stagionali, diversamente dalla previsione del tempo a 1-7 giorni a cui siamo abituati, non potranno mai (a causa della caoticità intrinseca del sistema atmosferico) dirci che tempo farà nel tal giorno; esse potranno piuttosto delinearci gli scenari più probabili, specificando il grado di probabilità e di incertezza: potremo leggere che la prossima stagione sarà probabilmente più calda o più piovosa rispetto alla norma climatica, oppure che dobbiamo aspettarci un periodo mediamente normale.

Esaurita la doverosa premessa, proviamo a capire in quali modi la scienza affronta il problema delle previsioni stagionali: immaginiamo, concretamente, di trovarci in autunno e di voler provare a rispondere alla domanda “che tipo di inverno ci aspetta?”.

Iniziamo con la buona notizia: la stagione fredda è mediamente più prevedibile di quella calda perché le forzanti che agiscono sul sistema atmosferico sono meglio conosciute e più intense; quella cattiva è che l’Europa è una regione del pianeta dove la variabilità interna atmosferica è molto forte e tende quindi a nascondere i deboli segnali delle forzanti remote (come quelle di origine tropicale quali l’ENSO, “El Niño Southern Oscillation”) che possono lasciare un certo tipo impronta sul carattere di una stagione, almeno a grande scala.

Figura 1: la previsione dell’anomalia della temperatura invernale (DJF sta per Dicembre, Gennaio, Febbraio) ottenuta grazie ai modelli ECMWF il giorno 1 ottobre. L’anomalia è calcolata rispetto al clima del modello. (reperibile su: https://climate.copernicus.eu/charts/c3s_seasonal/)

La figura 1 illustra la previsione, eseguita dal centro europeo ECMWF, dell’anomalia della temperatura media nei prossimi mesi invernali, i colori rappresentano lo scostamento dal “clima” del modello stesso. I modelli meteorologici possono essere utilizzati per fornire indicazioni stagionali utilizzando la tecnica dell’”ensemble, che consiste nel produrre molte simulazioni a lungo termine partendo da condizioni iniziali leggermente diverse e poi nell’effettuare alcune operazioni statistiche, quali la media degli output. Al momento, almeno secondo l’elaborazione ECMWF, sull’Italia appare probabile un inverno moderatamente più caldo della norma. Per quanto riguarda le precipitazioni (non mostrato in figura.ndr) la stessa simulazione assegna maggiori probabilità per un inverno meno piovoso della media sulle regioni meridionali (specie in Sicilia), mentre per il Nord il segnale è neutro. Allargando lo sguardo, infine, sempre con riferimento alla figura 1, notiamo l’anomalia positiva prevista per gran parte della regione artica (un fenomeno riconducibile al riscaldamento globale e alla nota “Arctic Amplification”, a sua volta almeno in parte collegata alla fusione dei ghiacci) e l’estesa fascia di anomalie negative presente sull’Oceano Pacifico tropicale, corrispondente, come spieghiamo tra breve, al fenomeno de La Niña.

Quanto possiamo fidarci di questa proiezione? I modelli fisico-matematici negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante nel rappresentare con sempre maggiore accuratezza i processi atmosferici, ma l’esperienza, anche del recente passato, insegna che le loro elaborazioni a lungo termine devono essere utilizzate con cautela.

Figura 2: le temperature sull’Europa previste dal sistema CFSv2 all’inizio del 2018 e la loro verifica. Questa immagine è tratta da: https://www.climate.gov/news-features/blogs/enso/february-and-march-madness-how-winds-miles-above-arctic-may-have-brought#.WuSjok5MN9w.twitter

La figura 2 mostra un caso recente che ha riguardato marginalmente anche l’Italia: come alcuni forse ricorderanno nel 2018, dopo l’ennesimo inverno tiepido (incidentalmente quell’inverno fu caratterizzato da un debole episodio La Niña) tra fine febbraio e inizio marzo una massa d’aria gelida irruppe sull’Europa dalle fredde steppe russe provocando gelate e nevicate anche in pianura. La previsione modellistica delle temperature del mese di marzo effettuata in Gennaio si rivelò un vero fallimento e di segno completamente opposto a quanto osservato; solo la previsione inizializzata a metà febbraio iniziò a cogliere il segnale dell’ondata di freddo che si sarebbe verificata di lì a due settimane. Il fenomeno che i modelli in quella circostanza non poterono anticipare fu un Sudden Stratospheric Warming (SSW), un improvviso riscaldamento della stratosfera polare. Semplificando al massimo, durante un SSW i forti venti occidentali che caratterizzano normalmente la stratosfera polare si indeboliscono fino a diventare orientali; al contempo la massa d‘aria stratosferica collassa entro il vortice subendo un repentino riscaldamento. Una vasta letteratura scientifica (fra i primi ad esempio Baldwin&Dunkerton, 2001) ha esaminato gli eventi di SSW (in media se ne osserva uno ogni due anni) e concluso che questi hanno un’influenza sensibile sulla circolazione invernale della troposfera sottostante, e quindi sul tempo meteorologico, con un ritardo di alcuni giorni dall’inizio dell’evento; l’influsso troposferico di un SSW si protrae per circa 60 giorni alterando profondamente la circolazione e determinando talora significativi episodi di freddo sull’Europa centro settentrionale. A loro volta gli eventi SSW sono provocati da un particolare tipo di circolazione troposferica a larga scala caratterizzata dalla propagazione verticale in stratosfera e dalla successiva rottura delle grandi onde planetarie, dette anche onde di Rossby.

Figura 3: rappresentazione schematica della circolazione atmosferica e dello stato dell’Oceano Pacifico tropicale durante El Niño/La Niña. Fonte: WMO

La figura 3 illustra in modo semplificato le caratteristiche dell’ENSO nelle due fasi El Niño e La Niña. Nella fase fredda, detta “La Niña”, quella attesa nei prossimi mesi, i venti orientali (alisei) che soffiano sull’Oceano Pacifico orientale sono forti e provocano la risalita delle acque fredde profonde lungo le coste dell’America meridionale. A poco a poco questo strato di acque superficiali più fredde si propaga verso ovest, mentre un’anomalia positiva (acque più calde della norma) si sviluppa sul settore occidentale del Pacifico. Queste anomalie, a loro volta, innescano profonde modifiche nella circolazione atmosferica tropicale: sopra le acque più fredde l’aria tende a muoversi verso il basso generando alta pressione superficiale, mentre sul Pacifico occidentale, al di sopra delle acque calde, i moti convettivi si rinvigoriscono e alla superficie si sviluppa un’area di relativa bassa pressione.

Giunti a questo punto, il lettore avrà buoni motivi per domandarsi quale attinenza possa avere un fenomeno come questo, che si sviluppa sull’Oceano Pacifico e per di più sulla sua fascia tropicale, sugli inverni della vecchia Europa.

La risposta risiede in quei meccanismi che i fisici dell’atmosfera hanno denominato teleconnessioni. Come si può immaginare si tratta di un argomento piuttosto tecnico, ma a livello qualitativo non è difficile farsene un’idea. Una teleconnessione atmosferica consiste in una correlazione, evidenziata da analisi statistiche, che si sviluppa tra aree del pianeta molto distanti tra loro. La teleconnessione di norma è tanto più incisiva quanto più intensa ed estesa geograficamente è la “forzante” che la origina: ne deriva che il fenomeno dell’ENSO proprio per l’intensità e la scala spaziale su cui si sviluppa si presenta come il candidato ideale per esercitare effetti a distanza nella troposfera. Non a caso, infatti, gli effetti di El Niño (o della sua partner fredda) risultano più evidenti sul vicino continente americano e sulle regioni australiana e indonesiana. Per un po’ di tempo, fino alla fine del secolo scorso, si è ritenuto che l’ENSO non avesse un’influenza significativa sull’Europa, per i motivi in parte anticipati. Oggi sappiamo che non è così ed è stato compreso il meccanismo fisico che permette alle anomalie tropicali di generare un segnale atmosferico dall’altra parte del pianeta: ci riferiamo di nuovo alle onde planetarie, le onde di Rossby, corrispondenti alle grandi ondulazioni del jet-stream (la fortissima corrente che scorre al limite superiore della troposfera), il cui percorso normale viene perturbato proprio dalle anomalie circolatorie tropicali. Considerando che queste onde possono percorrere l’intera circonferenza del globo in alcuni giorni, si intuisce come sia possibile l’interazione atmosferica tra luoghi molto distanti fra loro.

Figura 4: schema semplificato della teleconnessione tra la MJO nelle fasi 3 e 7 e la regione europea, durante El niño e La Niña. Fonte: (http://blogs.reading.ac.uk/weather-and-climate-at-reading/2020/from-indonesia-to-the-british-isles-using-el-nino-and-weather-patterns-in-the-tropics-to-help-predict-north-atlantic-and-european-weather/)

La figura 4 mostra in modo schematico alcuni dei meccanismi teleconnettivi appena descritti e inoltre aggiunge un’altra attrice protagonista in questa analisi: la Madden-Julian-Oscillation, MJO.  La MJO è il principale modo di variabilità della atmosfera tropicale su scala sub-stagionale ed è costituta da un dipolo: un’area in cui la convezione è particolarmente vigorosa posta accanto ad un’area dove i moti convettivi sono soppressi. Questo dipolo si sposta lungo l’equatore verso levante con un periodo tipico di 30-60 giorni: la MJO per un terzo dei giorni invernali non è attiva; quando essa è attiva si presenta con intensità diverse e viene etichettata con un numero che corrisponde alla regione equatoriale su cui si trova. Con riferimento alla figura 4, per esempio, gli studi hanno dimostrato che quando la MJO si trova in fase 7 durante La Niña è favorita una teleconnessione (mediata dalla stratosfera grazie a un debole vortice polare) che determina in Europa un regime circolatorio di tipo NAO- (NAO sta per North Atlantic Oscillation: senza entrare eccessivamente nei dettagli, con questo tipo di regime circolatorio il clima è freddo sul Nord Europa, piovoso sul Mediterraneo). La fase 3 della MJO in concomitanza con El Niño favorisce, grazie a un treno di onde di Rossby, un regime del tutto opposto, di tipo NAO+. L’interesse per la MJO risiede soprattutto nella possibilità di migliorare la previsione sulla scala temporale sub-stagionale e in particolare entro un orizzonte di 30 giorni. Il lavoro di Lee e altri, stabilisce infatti che l’impatto della MJO nelle sue diversi fasi è profondamente diverso in dipendenza del segno di ENSO.

Proviamo a tirare le somme. Per quanto semplificata e largamente incompleta (la letteratura scientifica ha infatti analizzato anche altre forzanti in grado di influire sugli inverni europei, l’estensione dei ghiacci artici, le temperature dell’Oceano Atlantico…) questa sintesi dovrebbe averci innanzitutto convinto in merito alla complessità di affrontare previsioni meteorologiche oltre il limite standard dei 5-7 giorni. Le condizioni dell’atmosfera tropicale (ad esempio la fase dell’ENSO) possono fornire un’indicazione probabilistica delle caratteristiche medie degli inverni europei, nel contesto della tipica forte variabilità meteorologica che caratterizza questa regione del pianeta. La risposta “canonica” a un El Niño, è un inverno con pattern NAO- caratterizzato da anomalie fredde sul Nord Europa e, aggiungiamo, da un inverno piovoso sul Mediterraneo. El Niño, come confermato anche da studi successivi (Polvani et al) aumenta la frequenza di occorrenza degli episodi di Sudden Stratospheric Warming, diversamente da La Niña.  Questo tipo di risposta tuttavia si verifica solo per gli episodi El Niño di moderata intensità, come fu quello dell’inverno 2009/10: in quelli più intensi, come nel  recente forte episodio del 2015-16 non si osservò nulla del genere. Durante un episodio di tipo “La Niña”, la situazione prevista nei prossimi mesi, il tipo di risposta è mediamente opposto, ma, come mostrato, sarà pur sempre possibile osservare un Sudden Stratospheric Warming in grado magari di scombussolare le carte per qualche settimana. Un caso come quello del recente febbraio 2018 deve ricordarci che  gli episodi di SSW sono difficilmente prevedibili prima di 15 giorni, ma grazie alle ricerche sull’impatto della Madden-Julian-Oscillation, si potranno fare dei progressi, almeno in senso probabilistico. Da ultimo non dimentichiamo l’attuale contesto climatico globale di forte riscaldamento dovuto al rilascio dei gas-serra: in questa situazione osservare inverni freddi diventa sempre più raro.

 

Approfondimenti suggeriti e altre fonti consultate:

Hall et al: Simple Statistical Probabilistic Forecasts of the Winter NAO,2017 Weather and Forecasting.

Polvani et al: Distinguishing Stratospheric Sudden Warmings from ENSO as Key Drivers of Wintertime Climate Variability over the North Atlantic and Eurasia, 2016: Journal of Climate 

A. Scaife. Impact of ENSO on European Climate.

Butler, A.H. & Polvani, L.M., 2011. El Niño, La Niña, and stratospheric sudden warmings: A reevaluation in light of the observational record. Geophysical Research Letters.

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