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Primi rifugiati climatici di Tuvalu arrivano in Australia

I primi rifugiati climatici da Tuvalu sbarcano in Australia grazie al patto Falepili Union, mentre l’arcipelago del Pacifico affronta l’innalzamento del livello del mare. Questo esodo pianificato offre visti permanenti a 280 cittadini all’anno, segnando l’inizio della migrazione climatica organizzata per la sopravvivenza.

Le prime famiglie di Tuvalu hanno messo piede sul suolo australiano, segnando un momento storico nella lotta contro i cambiamenti climatici. Questi rifugiati climatici, noti anche come sfollati climatici o profughi climatici, lasciano le loro isole nel Pacifico meridionale a causa dell’innalzamento del livello del mare che minaccia di sommergere vaste aree del territorio. L’accordo bilaterale tra Australia e Tuvalu apre un nuovo capitolo nella gestione della migrazione climatica, con arrivi che coinvolgono lavoratori qualificati e famiglie intere dirette verso città come Melbourne e Darwin.

Il patto Falepili Union tra Australia e Tuvalu

Il trattato Falepili Union, firmato nel 2023, rappresenta il fulcro di questa iniziativa. Il termine “falepili” nella lingua tuvaluana indica i legami familiari con i vicini, simboleggiando la vicinanza tra i due Paesi. Ogni anno, Australia concede 280 visti climatici permanenti ai cittadini di Tuvalu, un numero calibrato per bilanciare l’esodo con la sostenibilità demografica dell’arcipelago. Alla prima apertura delle registrazioni nel 2025, oltre 8.750 persone, circa l’80% della popolazione, hanno partecipato al sorteggio, evidenziando l’urgenza della situazione. La ministra degli Esteri australiana Penny Wong ha descritto il programma come “mobilità con dignità”, permettendo ai nuovi arrivati di inserirsi nel mercato del lavoro e nei servizi sociali.

Storie personali dei migranti climatici

Tra i primi rifugiati climatici spiccano figure diverse. Kitai Haulapi, autista di carrelli elevatori e prima donna selezionata, si dirige a Melbourne. La dentista Masina Matolu con la famiglia sceglie Darwin, mentre il pastore tirocinante Manipua Puafolau opta per Naracoorte, in Australia Meridionale, dove esiste già una comunità di isolani nel settore agricolo. Questi arrivi, concentrati in centri urbani come Melbourne, Adelaide e Darwin, oltre che in aree regionali, creano reti di supporto per i profughi climatici. Le destinazioni riflettono sia opportunità lavorative che presenze di diaspore pacifiche, facilitando l’integrazione nella società australiana.

La minaccia dell’innalzamento del livello del mare a Tuvalu

Tuvalu, composto da nove atolli tra Australia e Hawaii, è tra i primi Stati a rischio sparizione fisica. Proiezioni indicano che entro il 2050, metà dell’atollo principale di Funafuti subirà allagamenti quotidiani, mentre entro fine secolo il 95% del territorio potrebbe essere sommerso durante l’alta marea. La capitale, larga in alcuni punti solo 20 metri, vive già un equilibrio precario con tempeste e maree che invadono le abitazioni. Nel 2021, il ministro degli Esteri Simon Kofe denunciò la crisi immergendosi in acqua fino alle ginocchia alla COP26: “We are sinking”. L’innalzamento del livello del mare, previsto tra 90 cm e il doppio nei scenari peggiori, rende inevitabile la migrazione climatica.

Misure di adattamento e resilienza a Tuvalu

Nonostante l’esodo, Tuvalu investe in difesa. Il Piano di Adattamento a Lungo Termine, supportato dall’Onu, prevede 3,6 km quadrati di territorio rialzato, con i primi 7,8 ettari già completati. Barriere costiere, sistemi di raccolta acqua e protezioni infrastrutturali guadagnano tempo prezioso. Il trattato Falepili include aiuti per queste opere, oltre a cooperazione in sicurezza e clima. Inoltre, una riforma costituzionale posiziona Tuvalu come prima “digital nation”, garantendo la continuità statale anche senza territorio fisico attraverso dati e istituzioni virtuali.

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