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Dal ghiaccio virus di migliaia di anni fa: sarà il riscaldamento globale il responsabile della prossima pandemia?

Sarà probabilmente la fusione del ghiaccio a far scoppiare la prossima pandemia globale, riportando in vita virus di migliaia di anni fa. Secondo le ultime ricerche, infatti, non saranno tanto gli animali esotici a stretto contatto con l’uomo a diffondere un nuovo virus potenzialmente letale, ma sarà la materia finora imprigionata nei ghiacci a farlo.

Il riscaldamento globale antropico, fondendo i ghiacci e il permafrost, riporta alla luce non solo carcasse di esemplari di animali vissuti migliaia di anni fa, ma anche virus e batteri che risvegliandosi potrebbero quindi infettare la fauna locale e inizialmente gli esseri umani più a diretto contatto.

Questa eventualità, ormai nemmeno più così remota, è sostenuta da uno studio appena pubblicato su The Royal Society in cui è stata realizzata l’analisi genetica del suolo e dei sedimenti lacustri del lago Hazen, il più grande lago d’acqua dolce dell’Artico al mondo. Secondo gli studiosi il rischio di spillover, ovvero il “salto di specie” di un patogeno dagli all’uomo, potrebbe essere più alto nelle zone vicine allo scioglimento dei ghiacciai.

La prossima pandemia sarà un virus che riaffiorerà dal ghiaccio fuso dal riscaldamento globale

La criosfera, il ghiaccio presente sulla Terra, sta risentendo forse in modo più evidente del costante aumento delle temperature globali: ogni anno si susseguono notizie sul pessimo stato dei ghiacciai alpini, sulla regressione dei ghiacciai artici e antartici, sulla riduzione dell’estensione delle banchise, e sullo scioglimento del permafrost. Si tratta di una tendenza ormai evidente e piuttosto sconfortante causata dal fatto che la regione artica si sta scaldando 3-4 volte più velocemente rispetto al resto del Pianeta: qui le temperature sono aumentate in media di circa 3 gradi rispetto al 1980, spostando verso valori positivi temperature che fino ad ora erano rimaste costantemente sotto zero.

virus ghiacci permafrost pandemia

Virus si risvegliano dai ghiacci: potrebbe sembrare una trama da film apocalittico, ma in realtà è un fatto già avvenuto. Nel 2016 è scoppiato un focolaio di antrace (carbonchio ematico) nella Siberia settentrionale, zona investita da un’ondata di caldo che ha fuso il ghiaccio e il permafrost, riportando alla luce i resti di una renna infetta. Un bambino è morto e almeno altre 7 persone sono state infettate. Un evento simile era successo nella zona anche nel 1941.

Nello studio appena pubblicato, condotto da esperti dell’Università di Ottawa in Canada, sono stati analizzati campioni di suolo e sedimenti provenienti dal lago Hazen, lungo i corsi di acqua alimentati dalla fusione dei ghiacciai locali. Su questi campioni sono stati analizzati RNA e DNA per identificare le firme che corrispondono strettamente a quelle di virus noti, nonché potenziali ospiti animali, vegetali o fungini, e hanno eseguito un algoritmo che ha valutato la possibilità che questi virus infettassero gruppi di organismi non correlati.

Il risultato di questa analisi ha evidenziato che il rischio che i virus contagino nuovi ospiti fosse maggiore in luoghi vicini a dove scorrono grandi quantità di acqua di disgelo, una situazione che diventa più probabile con il riscaldamento del clima.

Non è il primo studio realizzato sulla relazione tra ghiacci, fusione e virus. Nel 2021 i ricercatori della Ohio State University negli Stati Uniti hanno annunciato di aver trovato materiale genetico da 33 virus – 28 dei quali nuovi – in campioni di ghiaccio prelevati dall’altopiano tibetano in Cina. In base alla loro posizione, si stima che i virus abbiano circa 15.000 anni.

Thirty-thousand-year-old distant relative of giant icosahedral DNA viruses with a pandoravirus morphology https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.1320670111

Nel 2014 i ricercatori del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica Aix-Marseille hanno risvegliato un virus gigante addormentato nel permafrost siberiano da 30 mila anni. La “rinascita” di un virus così ancestrale che infetta l’ameba, usato come indicatore sicuro della possibile presenza di virus patogeni del DNA, secondo i ricercatori suggerisce che lo scongelamento del permafrost dovuto al riscaldamento globale o allo sfruttamento industriale delle regioni circumpolari potrebbe sfociare in nuove minacce per l’uomo e salute degli animali.

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