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Al via i negoziati per il trattato globale sugli oceani: la posta in gioco è molto alta

Si sono aperti a New York i negoziati delle Nazioni Unite che cercheranno di elaborare un nuovo trattato giuridicamente vincolante sulla protezione degli oceani.

Gli oceani occupano il 71% della superficie terrestre e ci regalano più della metà dell’ossigeno che respiriamo, assorbono un terzo dell’anidride carbonica che emettiamo, regolano il clima e garantiscono un sostentamento a miliardi di persone. Dal successo di questo negoziato potrà dipendere la possibilità di proteggerli in modo efficace, oltre a quella di rispettare gli impegni assunti alla COP15 sulla Biodiversità, con cui si è promesso di tutelare il 30 per cento della superficie terrestre e degli oceani entro il 2030 (il cosiddetto “obiettivo 30×30”).

I lavori proseguiranno fino a venerdì 3 marzo, e si spera che si chiudano con la firma di un trattato che è atteso ormai da molto tempo.
Infatti, anche in agosto le delegazioni di centinaia di Paesi si erano incontrate con lo stesso scopo, ma non sono riuscite a raggiungere un accordo e il ciclo di colloqui è stato quindi sospeso senza risultati. Il tema più critico – come spesso succede – è quello dei finanziamenti. Particolarmente calde anche le questioni della condivisione dei proventi delle “risorse genetiche marine” e dell’istituzione di regole per valutare gli impatti ambientali.

Sarà su questi punti che si giocherà ora il negoziato sugli oceani, ospitato dal Palazzo di Vetro dell’ONU. Come ha sottolineato Greenpeace in una nota, le possibilità di successo dipendono soprattutto dai Paesi più ricchi, che avevano promesso un Trattato entro il 2022 senza riuscire a ottenerlo e finora hanno rifiutato di accettare compromessi su punti importanti. «Spetta anzitutto ai Paesi del Nord del mondo risolvere l’impasse – avverte Greenpeace – e proporre offerte negoziali credibili ai Paesi del Sud».

oceani trattato nazioni unite
Gli attivisti di Greenpeace hanno proiettato immagini sul ponte di Brooklyn a New York per ricordare l’importanza dei negoziati e spronare i delegati a impegnarsi per raggiungere un trattato che sia il più possibile forte e ambizioso. Foto: Greenpeace

«Gli oceani sostengono la vita sul pianeta Terra e il loro destino verrà deciso a questo negoziato», osserva Laura Meller, Oceans Campaigner e Polar Advisor di Greenpeace Nordic. «La scienza è chiara: proteggere il 30 per cento degli oceani entro il 2030 è il minimo impegno necessario per evitare la catastrofe. È stato incoraggiante vedere gli Stati adottare a dicembre l’obiettivo del 30 x 30, ma obiettivi elevati senza azioni conseguenti non significano nulla».

Questa è l’ultima occasione, avverte l’organizzazione, e i governi non possono fallire: «se il 3 marzo sarà firmato un trattato forte, allora l’obiettivo 30 x 30 sarà ancora a portata di mano». Secondo le stime, per centrare il traguardo servirà proteggere 11 milioni di chilometri quadrati di oceano ogni anno, da qui alla fine del decennio.

«Un accordo che sia universale, efficace, attuabile è alla nostra portata» ha detto durante l’apertura dei lavori la presidente della Conferenza intergovernativa Rena Lee. E ha incoraggiato i delegati a costruire partendo dai progressi compiuti durante la sessione di agosto, concentrandosi sullo sviluppo di un testo che colmi le lacune esistenti. «Ci arriveremo – ha detto – se continuiamo a impegnarci, e se siamo flessibili e creativi». Per superare lo stallo, infatti, secondo gli esperti sarà fondamentale che i delegati si concentrino sulla costruzione di ponti che aiutino a costruire il consenso, senza mirare a inserire a ogni costo i termini e le frasi desiderate nel testo.

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