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Nubifragio a Milano, la resa dei conti dell’Italia delle alluvioni

Eventi meteo estremi da un lato, suolo impermeabilizzato dall'altro. Il cambiamento climatico sarà la resa dei conti per le nostre città?

MILANO – Il Seveso è esondato, molte strade allagate, molti i sottopassi inaccessibili, percorsi dei mezzi pubblici deviati, segnalate anche interruzioni della corrente elettrica. Al maltempo che ha colpito la città di Milano sono bastate poche ore per creare una situazione di disagio e rischio per i cittadini. Il tutto è accaduto a pochi giorni di distanza dall’alluvione lampo che si è abbattuta sulla città di Palermo, che ha portato abbondanti quantitativi di pioggia in pochissime ore, quantitativi che non si registravano almeno dal Settecento.

Se c’è qualcosa che sembra accomunare le nostre città, da Nord a Sud, è la fragilità che dimostrano in occasione di eventi meteo estremi. 

Capiamo con il meteorologo di IconaMeteo.it Lorenzo Danieli da un punto di vista scientifico, cosa si è scatenato sulla città di Milano.

“L’intenso evento temporalesco che ha interessato la notte scorsa Milano in realtà ha colpito una zona piuttosto vasta della Lombardia settentrionale comprendente Milano e molte aree a nord della città. Riguardo le cause meteorologiche del forte temporale, queste vanno ricercate nell’arrivo di un piccola circolazione ciclonica in quota costituita da un nucleo di aria fredda negli strati medi della troposfera. L’arrivo di una circolazione ciclonica tende a favorire i moti verticali, mentre l’aria fredda esalta l’instabilità atmosferica. Dopo la giornata di ieri, che è risultata molto calda e soleggiata sulla pianura lombarda, molta era l’energia convettiva a disposizione per fenomeni potenzialmente violenti (il radiosondaggio delle 2 di notte effettuato a Linate mostrava un profilo verticale estremamente instabile, come si può dedurre ad esempio dal valore del Lifted Index, pari a -7, e ricco di energia, come evidenziato dal valore del CAPE di oltre 2000 J/kg – CAPE sta per Convective Available Potential Energy). In presenza di un discreto shear vertical (10-20 m/s la differenza di velocità del vento tra il suolo e 6 km) l’attività temporalesca che abbiamo osservato questa mattina sul Nord Italia ha avuto anche modo di organizzarsi in strutture multicellulari, di scala più larga e aventi vita più lunga rispetto alle celle temporalesche ordinarie; inoltre ha potuto propagarsi a gran parte del Nord Italia.”

Detto in parole più semplici quindi, dopo la giornata soleggiata di ieri che si è caratterizzata da temperature molto calde, l’arrivo di aria più fredda, ha creato il mix perfetto per lo scatenarsi di un intenso temporale formato da più celle temporalesche e quindi potenzialmente più duraturo e violento. Inoltre la città di Milano è particolarmente vulnerabile a questo tipo di eventi meteo violenti soprattutto nell’area del Seveso, è corretto?

“La città di Milano è particolarmente vulnerabile a questo tipo di eventi a causa dell’annoso problema del bacino del fiume Seveso, che scorre in un territorio pesantemente cementificato e che finisce in collo di bottiglia proprio sul nord della metropoli (allo scopo di limitare le esondazioni sappiamo che sono in progetto alcune vasche di laminazione).”

Sulle vasche di laminazione si è recentemente espresso anche il Sindaco di Milano Beppe Sala, dicendo che senza queste vasche la situazione del Seveso e degli allagamenti dovuti alla sua esondazione non si risolverà.

Il Seveso infatti scorre per 19 km sotto la città di Milano che è asfaltata con punte di urbanizzazione superiori all’80% del territorio. Il tunnel di cemento attraverso il quale scorre il Seveso può accogliere al massimo 45 metri cubi d’acqua al secondo, quando arriva a piene da 80, 90, anche 100 metri cubi, causa allagamenti nella città.

Legambiente nello studio “l’Italia delle alluvioni” racconta come, seppur il Seveso sia un corso d’acqua di piccole dimensioni, l’aver modificato la morfologia del bacino lo ha reso un potenziale rischio in caso di eventi meteo intensi come quelli di questa notte. I territori urbanizzati, in quanto tali, sono composti per lo più da superfici impermeabili, rese tali da cemento e asfalto, in cui l’acqua non penetra e tende a scorrere verso valle.  “Dagli anni cinquanta il nord di Milano diventa uno dei territori più costruiti d’Italia, una distesa d’asfalto, dove l’acqua non viene assorbita, ma scorre. Gli scarichi dei tombini (e questa non è storia remota, ma acca-de fino agli anni 80/90) vengono via via convogliati tutti là, nel Seveso, che diventa la grande fogna e quando piove raccoglie l’acqua di un bacino enorme, decine di volte più grande di quello naturale.” spiega Legambiente.

Ma il report racconta storie simili per molte delle nostre città italiane che iniziano quasi tutte con un evento meteo violento da un lato e un suolo impermeabilizzato dall’altro. 

Leggi anche l’approfondimento a cura di Lorenzo Danieli: Il consumo di suolo, una calamità innaturale

L’edizione 2020 del rapporto ISPRA “Consumo del suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” non porta notizie confortanti, cemento e asfalto stanno continuando a divorare la natura italiana. Nel nostro Paese, fa sapere l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, «si nasce già con la propria porzione di cemento: 135 mq per ogni neonato», nel 2019 ci siamo giocati 2 metri quadrati di natura al secondo.

Leggi anche: Consumo del suolo in continuo aumento, in Italia 135 mq di cemento per ogni neonato

Anche sul fronte climatico sappiamo già che non andrà meglio, il cambiamento climatico sta portando ad un aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteo estremi che, quando trovano le condizioni atmosferiche ottimali per sviluppasi – come quella appena descritta -, continuano a non trovare pronte le nostre uniche, nella bellezza e nel patrimonio culturale, città italiane.

Con l’intensificarsi di questi fenomeni cresce l’urgenza di interventi strutturali di adattamento delle nostre città ai possibili eventi causati dai cambiamenti climatici, perché si dimostrerà sempre più difficoltoso, per dimensione dell’evento e potenziale coinvolgimento della popolazione, intervenire ad evento concluso.

 

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