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La forza inesauribile del mare e la tecnologia italiana per trasformarla in energia blu

Acqua, sole,  vento, calore della Terra e biomassa sono fonti di energia rinnovabile: inesauribili risorse energetiche pulite e naturali, che nel nostro Paese non mancano.

In Italia le fonti di energia rinnovabile soddisfano circa il 38% della produzione elettrica, il 20% dei consumi termici e il 10% dei consumi nel settore dei trasporti1. Tra i paesi dell’Unione Europea, nel 2020 l’Italia si è posizionata al terzo posto per il contributo ai consumi di energia green, dietro a Germania e Francia. La fonte rinnovabile che garantisce il principale contributo alla produzione complessiva di energia elettrica nel nostro Paese è quella idroelettrica (41% del totale), da sempre dominante, seguita da solare (21%), bioenergie (17%), energia eolica (16%) e geotermica (5%) 2. L’energia eolica è tuttavia in progressiva crescita, seppure a ritmi inferiori rispetto ad altri paesi europei.

Tutte le regioni italiane sono coinvolte nel raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2030, ma la generazione di energia rinnovabile in Italia presenta importanti differenze in funzione delle caratteristiche del territorio e della distribuzione delle risorse. L’idroelettrico è presente prevalentemente nelle zone che offrono forti pendenze, come le Alpi e, in minor misura, i rilievi appenninici, il fotovoltaico è più frequente al Sud, dove l’insolazione è maggiore, l’eolico in Sicilia, in Sardegna e lungo il settore meridionale dell’Appennino. Il sito di eccellenza per la raccolta dell’energia geotermica si trova invece in Toscana, a Lardarello, dove venne costruito il primo impianto geotermico della storia e dove attualmente sorge il più grande impianto d’Europa. Malgrado in termini percentuali il geotermico non possa competere con le altre rinnovabili, l’Italia è ai vertici europei in questo tipo di produzione.

Il Mediterraneo, fonte di energia rinnovabile dal mare

La decarbonizzazione che anche l’Italia deve affrontare rende urgenti non solo un maggior impiego delle energie rinnovabili tradizionali, il miglioramento dell’efficienza degli impianti con nuove tecnologie e lo sviluppo di nuove soluzioni, come la cogenerazione, cioè la combinazione di diverse fonti, ma anche lo sfruttamento di tutte le possibilità che la natura offre.

Il mare è una di queste: può costantemente fornire energia con le onde, le maree, le correnti, il gradiente salino, cioè la differenza di concentrazione del sale fra l’acqua di mare e l’acqua dolce (per esempio alla foce di un fiume), il gradiente di temperatura tra la superficie e il fondo.

Anche se in Europa la disponibilità di risorse energetiche marine è maggiore lungo la costa atlantica, in particolare in Irlanda e Scozia, il Mar Mediterraneo offre opportunità interessanti sia per la produzione energetica dalle onde sia dalle correnti. Le aree di mare con il più alto potenziale di energia dalle onde sono le coste occidentali della Sardegna e della Corsica, ma anche il Canale di Sicilia e le aree costiere di Algeria e Tunisia, dove il flusso medio di energia oscilla tra i 10 e i 13 kW/m.

L’energia dalle maree può essere raccolta principalmente nello Stretto di Messina, dove la produzione di energia potrebbe arrivare a 125 GWh l’anno – una quantità sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico di una città come la stessa Messina – grazie allo sfruttamento delle correnti che raggiungono velocità superiori a 2 metri al secondo.

“Il settore dell’energia dal mare in Italia sta entrando in una fase operativa, precommerciale, grazie alle sperimentazioni in corso di prototipi sviluppati da enti di ricerca come ENEA, CNR e RSE (ricerca sistema energetico, ndr), università e grandi aziende nazionali dell’energia”, spiega in una nota Gianmaria Sannino, responsabile del laboratorio ENEA di Modellistica Climatica e Impatti.

L’Italia è il paese più avanzato del bacino mediterraneo per ricerca e sviluppo di dispositivi hi-tech, guadagnandosi una posizione di rilievo a livello internazionale. In relazione agli investimenti sullo sviluppo tecnologico rivolto all’energia prodotta dal mare, il primo rapporto del progetto europeo Ocean SET 2020 riporta che tra 11 Paesi europei presi in esame, l’Italia risulta essere al primo posto nell’area mediterranea, al secondo in Europa, dopo il Regno Unito, con finanziamenti pubblici di circa 5 milioni di euro all’anno.  Il nostro Paese è infatti tra le sei nazioni UE ad aver adottato politiche specifiche per lo sfruttamento di questa risorsa e i prototipi italiani con un “Livello di Maturità Tecnologica” pari o superiore a 7 (TRL7+) su una scala da 1 a 9 sono ben cinque: quattro per le onde e uno per le maree. Gli impianti di prova si trovano a Pantelleria, Reggio Calabria, Napoli e nell’Adriatico.

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Foto Pixabay

L’energia blu dalle onde: tecnologia off-shore e near-shore

I primi progetti italiani per produrre energia dalle onde nacquero sedici anni fa grazie all’ingegno e all’iniziativa di Giuliana Mattiazzo, oggi vice rettrice per il Trasferimento Tecnologico del Politecnico di Torino, ed Ermanno Giorcelli, del dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale. Con il loro gruppo di ricerca svilupparono un dispositivo ISWEC (Inertial Sea Wave Energy Converter), un sistema galleggiante per mare aperto ancorato al fondale, capace di trasformare l’energia prodotta dalle onde in energia elettrica, adattandosi alle differenti condizioni del mare: il beccheggio dell’unità provocato dalle onde viene intercettato da due sistemi giroscopici collegati a generatori, che lo trasformano in energia elettrica. Il sistema ISWEC è adatto ad usi civili, in particolare per le piccole isole.

Al primo prototipo da laboratorio del 2006 seguì un prototipo in scala 1:8 testato nella vasca navale dell’INSEAN del CNR. Il primo prototipo in scala naturale, realizzato nel 2012, venne messo in mare davanti a Pantelleria il 7 agosto 2015, a una distanza di circa 800 metri dalla riva.

Dalla collaborazione tra ENI e il Politecnico di Torino, insieme alla spin-off dell’Ateneo Wave for Energy S.r.l, prese successivamente avvio il progetto per la produzione industriale, che nel 2018 portò all’installazione dell’impianto pilota nelle acque davanti a Ravenna: un dispositivo in scala con potenza di 50 KW, collegato ad una piattaforma offshore e integrato con un impianto fotovoltaico. Le prime due installazioni industriali di questo sistema, progettate per arrivare a 100 kW di picco, sono previste per la fine del 2022 presso la piattaforma Prezioso di ENI, al largo delle coste di Gela, e davanti a Pantelleria, dove sono stati da poco effettuati i rilievi batimetrici.

Nelle acque di Marina di Pisa dal novembre del 2015 è invece installato un convertitore di energia H24 completamente sommerso, composto da una guida ancorata al fondale e da una parte semovente posta al di sopra, che trae energia dal movimento delle onde, ma può raccogliere energia anche dalle correnti. Allacciato alla rete energetica nel 2018, ha una capacità di 50kW e l’energia generata copre il fabbisogno di circa 40 famiglie. Il sistema H24, che come suggerisce il nome funziona in continuo, è stato sviluppato da 40South Energy Italia, start-up fondata da Michele Grassi nel 2007. Nel corso del 2017 l’investimento di Enel Green Power e Invitalia Ventures ha contribuito ad avviare la fase di commercializzazione del convertitore.

Un prototipo “off-shore” di più recente sperimentazione è la versione 2.0 del PEWEC (PEndulum Wave Energy Converter), messa a punto da ENEA e dal Politecnico di Torino. Il  sistema galleggiante, simile a uno scafo di forma semicircolare, è in grado di produrre energia elettrica sfruttando l’oscillazione del dispositivo per effetto delle onde.
“Un prototipo in scala 1:25 è stato testato presso la Vasca Navale dell’Università Federico II di Napoli per studiare la risposta dello scafo e degli ormeggi a onde estreme – spiega Gianmaria Sannino -. Abbiamo esposto il dispositivo hi-tech a serie di onde particolarmente alte (in scala) sia regolari che irregolari, generate artificialmente all’interno del bacino di test, evidenziando un’ottima capacità di tenuta e di produzione elettrica del sistema anche in condizione estreme. Questo tipo di prove sono fondamentali per valutare le prestazioni e la resistenza dei convertitori anche in situazioni critiche di onde da tempesta”.

ENEA e Politecnico di Torino stanno lavorando ora alla realizzazione del progetto preliminare del PEWEC in scala 1:1 da installare lungo le coste “più energetiche” del Mediterraneo, come la costa occidentale della Sardegna e il Canale di Sicilia. Il dispositivo da 525 kW sarà lungo 15 metri, largo 23 e alto 7,5 per un peso comprensivo di zavorra di oltre 1.000 tonnellate. Il team di ricercatori sta studiando la riduzione dei costi del dispositivo e l’aumento dell’efficienza di trasformazione dell’energia, tramite l’adozione di materiali a basso costo e l’integrazione di pannelli fotovoltaici.

L’installazione del PEWEC può arrivare a soddisfare del tutto il fabbisogno energetico di isole medio-piccole e può essere implementato non soltanto nella fornitura di energia elettrica per usi domestici o civili, ma anche industriali, ad esempio nell’acquacoltura.

Attività sperimentali con strutture fisse “near-shore” in scala ridotta sono state per lungo tempo effettuate con un REWEC3 (Resonant Wave Energy Converter) presso il laboratorio NOEL dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. I REWEC3 sono sistemi integrati nei moli all’interno di cassoni di cemento, che convertono l’energia del moto ondoso incidente in una corrente d’aria ad alta velocità, la cui energia può essere poi trasformata in energia elettrica mediante una turbina di Wells. Il Porto di Civitavecchia ha ospitato il primo prototipo in scala reale del dispositivo REWEC3, incorporato in una diga foranea impiegata sia per la protezione del porto sia per la raccolta di energia.

L’energia blu dalle correnti marine, Kobold e l’aquilone di mare

Le correnti marine vengono raccolte da sistemi a turbina orizzontale o verticale: solitamente le turbine ad asse orizzontale, tecnologia derivante da quella dei generatori eolici, sono impiegate con correnti marine costanti, mentre le turbine ad asse verticale rappresentano spesso la prima scelta per catturare le correnti di marea, che invertono la direzione più volte al giorno.
Le correnti di marea sono presenti nei mari italiani nella Laguna Veneta e nello Stretto di Messina, queste ultime sono molto più intense e possono raggiungere anche i 6 nodi (quasi 11 km/h) di velocità.

In Italia, le tecnologie al momento arrivate alla fase di sperimentazione con prototipi di grandi dimensioni sono Kobold, nello Stretto di Messina, e GEMSTAR, nella Laguna Veneta.

Kobold (dal nome del folletto mitologico del folclore tedesco) è stato progettato per i mari che bagnano le migliaia di isole prive di corrente elettrica dell’Indonesia, della Cina e delle Filippine, dove le correnti marine possono raggiungere velocità di quasi 30 km/h. Il prototipo è stato installato in prova nello Stretto di Messina, al largo di Ganzirri (a Nord di Messina) nel 1999.
Si tratta di una turbina marina ad asse verticale sviluppata dalla società Ponte di Archimede S.p.A., proprietaria del brevetto internazionale, in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Industriale – Sezione Aerospaziale –  dell’Università “Federico II” di Napoli. La turbina, prima al mondo a trasformare le correnti del mare in energia elettrica per le utenze domestiche, è stata allacciata alla rete elettrica nazionale nel 2006, fornendo circa 40 KW, fino alla dismissione avvenuta dieci anni dopo.

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Kobold – Wikipedia

GEMSTAR, l’aquilone del mare, rappresenta la seconda generazione e l’evoluzione del primo prototipo sviluppato a partire dal 2005 in seguito ad un progetto di ricerca nato dalla collaborazione tra l’ing. Nicola Morrone, autore del brevetto, e il prof. Domenico Coiro, dell’università degli studi di Napoli “Federico II. Dal 2012 lo sviluppo è condotto in collaborazione con il consorzio di ricerca SEAPOWER Scarl, che è partecipato dalla stessa Università di Napoli “Federico II”. Il sistema è costituito da due turbine marine ad asse orizzontale collegate ad un galleggiante  vincolato al fondo del mare con un cavo.  Si trova a 15 metri di profondità e in presenza di corrente si allinea come fa un aquilone in aria. Dopo una serie di test in vasca su due modelli in scala ridotta, nel 2012 un primo prototipo a scala reale  è stato installato per un breve periodo nella Laguna Veneta. Il progetto prevede che il prossimo prototipo a scala 1:1 venga installato nello Stretto di Messina.

L’impatto ambientale

Quale impatto sull’ecosistema marino potrebbe avere questa tecnologia, soprattutto se impiegata su larga scala? Il sistema di ancoraggio potrebbe interferire con gli organismi che vivono sul fondale, ad esempio le piante marine. Come già avviene con le navi, gli animali marini potrebbero essere esposti non solo al pericolo di collisione con le macchine, ma anche ai disturbi prodotti dalle onde elettromagnetiche e al rumore delle turbine, che interferisce con i suoni emessi soprattutto dai cetacei per l’ecolocalizzazione e la comunicazione.

Sono dunque numerosi gli aspetti meritevoli di attenta valutazione, e in passato sono state avviate diverse ricerche in ambito europeo. Tra queste uno studio multidisciplinare svolto da numerosi ricercatori britannici  circa l’impatto delle risorse di energia blu sull’ambiente marino in corrispondenza di tre località di test: il Centro Europeo per l’Energia Marina (EMEC), WaveHub e Strangford Lough. La ricerca rientrava nel progetto FLOWBEC (Flow and Benthic Ecology 4D, coordinato dal Centro Oceanografico Nazionale. Per tutte le località furono effettuate simulazioni modellistiche e misurazioni con tecnologia sofisticata, che vide l’impiego anche di sonar, per comprendere meglio l’interazione dell’idrodinamica con la fauna selvatica e per verificare il rischio reale di collisione tra gli animali marini e le turbine. Ciò permise ai responsabili della progettazione degli spazi marini di determinare le località dove autorizzare l’installazione degli impianti, nel rispetto del mare e della vita che ospita.

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