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Energia, «l’Italia non sia succube delle aziende fossili»: l’appello degli ambientalisti

Mentre l’Europa festeggia la crescita record delle rinnovabili nella produzione di energia elettrica, chi guida l’Italia si ostina a puntare ancora troppo sulle fonti fossili, responsabili della crisi climatica in atto e della dipendenza energetica del Paese.

Nelle ultime settimane, infatti, il Governo è stato impegnato in una serie di missioni diplomatiche in Nord Africa con la missione – non proprio lungimirante – di trasformare l’Italia nell’«hub del gas» europeo, ovvero il punto di approdo e di snodo del gas che poi si diffonde verso il resto del Continente.

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Giorgia Meloni in conferenza stampa durante la recente visita in Libia. Sullo sfondo i logi di ENI, gigante italiano del fossile, e della National Oil Corporation, compagnia petrolifera libica. Fonte: Giorgia Meloni via Facebook

«L’Italia non sia succube della strategia delle aziende fossili», chiedono in un appello alcune delle principali realtà ambientaliste nazionali. L’appello giunge a pochi giorni dalle missioni che hanno visto la premier Giorgia Meloni spesso accompagnata dall’amministratore delegato di ENI Claudio Descalzi. 

Per WWF Italia, Greenpeace Italia, Legambiente e Kyoto Club, l’hub del gas nasconde solo infrastrutture inutili e costose: «occorre mettersi al passo con il futuro e puntare davvero su rinnovabili ed efficienza».

In una nota congiunta, le organizzazioni hanno messo in guardia su quella che, più che strategia, appare una tattica energetica di corto respiro. «L’hub del gas porta solo insidie e costi per i consumatori e contribuenti – avvertono -, mentre le aziende fossili continueranno a fare profitti altissimi. Occorre difendere l’interesse dei cittadini e puntare davvero su rinnovabili ed efficienza energetica, per garantire bollette più basse».

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Gli accordi presi con Algeria, Libia e altri Paesi delineano una diversificazione non del mix energetico – spiegano le organizzazioni ambientaliste -, ma dei Paesi da cui l’Italia importerà gas.

Sono accordi che rischiano di condizionare pesantemente il futuro energetico italiano, accompagnati come sono da impegni per opere inutili e costose, con benefici che andranno solo a grandi aziende e Paesi esteri, mentre i costi saranno scaricati sulla collettività. Un esempio per tutti è il gasdotto dall’Algeria che potrebbe determinare anche la futura metanizzazione della Sardegna, un passo indietro nel passato che condannerebbe l’isola alla dipendenza energetica dall’estero, invece di permetterle il salto tecnologico dalla fonte del passato, il carbone, a quelle del futuro, le energie rinnovabili.

Eppure non esistono margini di fraintendimento: l’aggiornamento del PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, ndr) va condotto sulla base dei nuovi e più ambiziosi target di riduzione delle emissioni climalteranti richiesti a livello EU, pianificando quindi una seria e ambiziosa transizione alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica, coadiuvate dalle reti e dagli accumuli.
Il Governo sembra concentrato solo sulla costruzione di nuove infrastrutture strategiche soprattutto per il gas (rigassificatori e gasdotti), quando invece gli stessi dati ufficiali ci dicono che le nostre capacità di approvvigionamento e le infrastrutture attuali sono adeguate anche a far fronte all’assenza delle importazioni dalla Russia, soprattutto in un quadro strategico che, appunto, deve fare rotta su un sempre minore impiego di combustibili fossili, gas incluso.

Costi e rischi sulle spalle dei cittadini

Questo «piano anacronistico», avvertono gli ambientalisti, peserà sulle spalle dei cittadini per i costi enormi «di opere che saranno inutili», ma anche per il prezzo concordato del gas. Il tutto, senza garanzie relative alla sicurezza energetica, per la quale sarebbe più utile investire nella transizione alle fonti rinnovabili di energia e all’efficienza, rispetto a legarsi per decenni «a un mercato volatile e costoso come quello del gas ha dimostrato di essere».

Realizzare quindi oggi nuove infrastrutture per il gas, che dovrebbero restare operative per diversi decenni, non solo contrasta con gli obiettivi di decarbonizzazione, ma fa ci correre il rischio che divengano investimenti non recuperabili (stranded assets) che saranno, appunto, pagati dai contribuenti.

Energia, la strada da percorrere è quella del buonsenso

Nella situazione attuale, affermano gli ambientalisti, «buonsenso vorrebbe che si cerchi di vincolarsi il meno possibili».

Il Governo dovrebbe investire da subito e in modo convinto su tutto ciò che realmente agevola la transizione alle fonti rinnovabili e pulite di energia, all’efficienza, alle reti, agli accumuli, alla mobilità elettrica, ecc. Tutte scelte che non solo hanno risvolti ambientali (climatici) e sanitari (miglioramento della qualità dell’aria) positivi ma anche sociali ed economici: dai benefici derivanti dalla diffusione delle comunità energetiche rinnovabili alla maggiore occupazione che le scelte green sono in grado di determinare.

In questo momento di volatilità del mercato e di situazione geopolitica complessa, buonsenso vorrebbe che si cerchi di vincolarsi il meno possibile e che si punti invece sulle fonti rinnovabili, più economiche, più rapide da istallare e garanzia di reale sovranità energetica, nonché sul risparmio e l’efficienza energetica, cercando di renderli strutturali: solo così si uscirà dalla crisi più forti e ancorati allo sviluppo energetico e industriale del futuro. Con la strategia attuale, invece, rischiamo di ritrovarci vincolati per decenni al gas tramite contratti firmati a condizioni di stress del mercato, impreparati alla nuova energia e alla nuova economia che si sta affermando.

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