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Dovremmo mangiare meno carne

Diminuire la quantità di carne che mangiamo è un passo estremamente importante per il clima, e probabilmente anche per la nostra salute. Nella sua storia, il corpo umano non ha mai ricevuto i quantitativi di carne che, in media, si trova a gestire oggi: l’aumento dei consumi è stato esponenziale. Una ricerca pubblicata su Science stima che in appena 50 anni, tra il 1961 al 2011, il consumo di proteine di origine animale nel mondo è passato da 61 a 80 grammi al giorno per persona. Significa che in media un essere umano consuma circa 29 kg di proteine di origine animale all’anno.
E in Italia le cifre sono ben più alte: secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’Osservatorio nazionale sui consumi di carne di Agriumbria del 2022, gli italiani mangiano in media 79 kg di carne all’anno.

Carne e clima, l’impatto per le emissioni

Il legame tra il consumo di carne e clima è legato alla grande quantità di emissioni climalteranti prodotte da questa industria. La filiera del cibo vale circa un terzo delle emissioni globali, e secondo un’analisi pubblicata dalla FAO, le attività zootecniche da sole contribuiscono per circa il 18 per cento alle emissioni totali di gas serra di origine antropica.
Oltre alle grandi quantità di CO2 emessa, la produzione di carne libera nell’atmosfera anche molto metano, un gas climalterante meno noto ma che ha conseguenze preoccupanti per il clima. I principali responsabili delle emissioni di metano sono gli animali ruminanti, come i bovini e le pecore, che producono questo gas serra con la digestione. Si stima che la produzione di manzo generi 25 volte le emissioni di gas climalteranti del tofu per ogni grammo di proteina.

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Non solo clima: dal consumo di acqua e suolo all’utilizzo di sostanze inquinanti, l’impatto della carne sul Pianeta

Quasi l’80 per cento di tutti i terreni agricoli viene usato per coltivazioni destinate a diventare mangimi o pascolare il bestiame. Enorme l’impatto sulla deforestazione anche nelle aree in cui crescono le foreste più preziose per il pianeta: si stima che oltre il 40 per cento della deforestazione annuale ai tropici sia provocato dalla necessità di avere più spazio per i pascoli dei bovini. Questo succede anche nella foresta Amazzonica, gravemente minacciata dalla deforestazione e dagli incendi, che spesso sono legati proprio all’industria della carne.

Destinare foreste e aree contaminate alla produzione di mangimi e all’allevamento di bestiame comporta tra le altre cose gravi perdite di biodiversità e in diverse zone del mondo rappresenta una minaccia anche per la sopravvivenza delle popolazioni indigene.

Grave l’impatto che l’industria della carne ha anche sulla qualità dell’aria. In questo ambito i responsabili delle maggiori criticità sono gli allevamenti intensivi: i calcoli realizzati dall’ISPRA per un rapporto di Greenpeace hanno rivelato che in Italia gli allevamenti intensivi inquinano molto più delle automobili. In particolare, gli allevamenti intensivi sono al secondo posto tra i settori più inquinanti (15.1% delle polveri sottili emesse), subito dopo il riscaldamento (38%). A seguire l’industria (11.1%) e i veicoli leggeri, ovvero le auto e le moto (9 per cento).

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Gli allevamenti intensivi sono tra le principali fonti di polveri sottili in Italia

Immane, infine, il consumo di acqua, una risorsa sempre più preziosa e non infinita, come ha mostrato fin troppo bene anche all’Italia la siccità estrema di quest’anno. I dati resi noti da Water Footprint Network confermano che l’industria della carne e dei prodotti di origine animale consumano una quantità d’acqua molto maggiore di quella necessaria ai prodotti vegetali. La più dispendiosa in termini di risorse idriche è la carne di manzo, che richiede 15.400 litri d’acqua al chilo. Più contenuti, ma sempre molto elevati, i consumi di acqua necessari a produrre carne di maiale (6.000 litri per chilo) e di pollo (4.300litri). In media, per un chilo di verdura bastano circa 300 litri d’acqua, 960 per la frutta.
L’impatto degli allevamenti sulle risorse idriche riguarda anche i rischi legati all’inquinamento delle falde acquifere.

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