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Ciclone Montha sull’Himalaya: valanghe in Nepal, cinque alpinisti italiani tra le vittime

Un ciclone eccezionale ha colpito le vette del Nepal, provocando valanghe devastanti e la morte di nove alpinisti, tra cui cinque italiani. Le condizioni estreme sull’Himalaya hanno reso difficili i soccorsi.

Il ciclone Montha ha investito in modo drammatico l’area dell’Himalaya, innescando una serie di valanghe mortali sulle vette del Nepal. L’evento, eccezionale per la stagione, ha causato la morte di almeno nove alpinisti in due distinti incidenti, con una tragica perdita per la comunità italiana: cinque alpinisti italiani sono rimasti vittime delle condizioni estreme. L’accumulo anomalo di neve fresca e il maltempo hanno reso estremamente difficili le operazioni di soccorso, mentre le autorità locali e le squadre internazionali hanno lavorato senza sosta per il recupero dei corpi.

Il ciclone Montha e le cause delle valanghe sull’Himalaya

Il ciclone Montha si è formato nel Golfo del Bengala, caratterizzato da temperature superiori di circa due gradi rispetto alla media stagionale. Dopo aver colpito l’India, il ciclone ha raggiunto il Nepal e la catena himalayana, scaricando in quota imponenti quantità di neve e pioggia. Questo tipo di perturbazione è insolita per il periodo autunnale, tradizionalmente caratterizzato da clima asciutto e stabile, ideale per le spedizioni alpinistiche e i trekking sulle vette nepalesi.

L’energia aggiuntiva presente nell’atmosfera, dovuta al riscaldamento del Golfo del Bengala, ha favorito la formazione di nubi molto cariche di umidità. Quando queste masse d’aria hanno incontrato le montagne dell’Himalaya, si sono generate precipitazioni straordinarie, con nevicate fuori stagione e accumuli di oltre due metri in pochi giorni. Queste condizioni hanno creato una situazione di instabilità critica del manto nevoso, aumentando in modo esponenziale il rischio di valanghe e di incidenti mortali per gli alpinisti.

Le tragedie sul Panbari Himal e Yalung Ri: cronaca degli incidenti

Il primo grave episodio si è verificato sul Panbari Himal, una vetta di 6.887 metri nella regione del Manaslu. Due alpinisti italiani, Alessandro Caputo e Stefano Farronato, sono stati sorpresi da una bufera di neve mentre si trovavano al Campo 1. Rimasti bloccati a causa dell’accumulo di neve e delle condizioni proibitive, sono stati travolti e sepolti durante la notte da una valanga, senza possibilità di salvezza. Le comunicazioni si sono interrotte improvvisamente e i soccorsi sono potuti intervenire solo dopo diversi giorni, ostacolati dal maltempo e dalla quantità di neve fresca.

Pochi giorni dopo, una seconda valanga ha colpito il campo base dello Yalung Ri, montagna di 5.630 metri nella valle di Rolwaling. L’incidente ha coinvolto una spedizione internazionale, causando la morte di sette persone, tra cui gli altri tre alpinisti italiani: Paolo Cocco, Marco Di Marcello e Markus Kirchler. Tra le vittime anche un alpinista tedesco, un trekker francese e due guide nepalesi. La valanga si è abbattuta improvvisamente, travolgendo il gruppo mentre era in marcia verso la vetta.

L’eccezionale instabilità del manto nevoso e la dinamica delle valanghe

L’insolito accumulo di neve fresca in alta quota, innescato dal ciclone Montha, ha determinato una situazione di instabilità senza precedenti sulle montagne del Nepal. Il peso eccessivo della neve non ancora consolidata ha favorito il distacco di enormi masse che, scivolando lungo i pendii ripidi, hanno dato origine a valanghe devastanti. In particolare, sulle pareti dell’Everest e delle vette circostanti, le valanghe sono spesso precedute da segnali quali crepe nel manto nevoso e rumori sordi, ma in presenza di maltempo e visibilità ridotta questi segnali possono sfuggire anche agli alpinisti più esperti.

La dinamica delle valanghe sull’Himalaya è aggravata dalle condizioni meteorologiche estreme: venti forti, nevicate intense e rapide variazioni di temperatura compromettono la stabilità della neve e rendono molto difficile la prevenzione degli incidenti. In questa situazione, anche i campi base, generalmente considerati sicuri, possono essere investiti da valanghe improvvise, come accaduto allo Yalung Ri.

Soccorso in alta quota: difficoltà operative e testimonianze

Le operazioni di soccorso sulle montagne del Nepal sono state rese estremamente complicate dalla perturbazione e dall’eccezionale quantità di neve caduta. In molti casi, i soccorritori hanno dovuto attendere giorni prima di poter raggiungere le aree colpite, a causa delle restrizioni sui voli in elicottero e delle condizioni meteorologiche proibitive. Le testimonianze dei sopravvissuti raccontano di ore di attesa e di disperazione, con richieste di aiuto rimaste inascoltate per troppo tempo.

Nonostante la presenza di squadre specializzate e l’impiego di tecnologie avanzate come il sistema Recco per la localizzazione sotto la neve, il maltempo ha limitato fortemente la rapidità e l’efficacia dei soccorsi. Il bilancio finale di questa emergenza sulle vette dell’Himalaya è tragico, ma la mobilitazione internazionale ha dimostrato ancora una volta la solidarietà e il coraggio della comunità alpinistica e dei soccorritori nepalesi e stranieri.

Clima estremo e rischi per le spedizioni future

L’evento che ha colpito l’Himalaya e il Nepal nelle ultime settimane rappresenta un segnale allarmante sulla crescente frequenza di fenomeni meteorologici estremi in alta quota. L’aumento delle temperature nel Golfo del Bengala e le anomalie climatiche stanno modificando i regimi di precipitazione e nevicate, rendendo sempre più imprevedibili le condizioni sulle grandi montagne asiatiche. Per le spedizioni alpinistiche, la conoscenza e il monitoraggio in tempo reale delle condizioni meteo diventano strumenti indispensabili per la sicurezza.

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