Processo Saviano e Capacchione: confermate le condanne ai Casalesi
La Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne per le minacce mafiose rivolte a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione durante il processo Spartacus. Un verdetto che segna una tappa storica nella lotta alla criminalità organizzata e nella tutela della libertà di stampa.

Nel luglio 2025, la Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne per le minacce aggravate dal metodo mafioso rivolte nel 2008 allo scrittore Roberto Saviano e alla giornalista Rosaria Capacchione durante il processo Spartacus contro il clan dei Casalesi. Il boss Francesco Bidognetti è stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione, mentre il suo ex avvocato Michele Santonastaso dovrà scontare un anno e due mesi. La sentenza, accolta da un lungo applauso in aula, rappresenta un punto fermo nella difesa della libertà di stampa e nella denuncia del potere delle mafie.
Le minacce nel processo Spartacus: un attacco alla stampa
Le minacce mafiose ai danni di Roberto Saviano e Rosaria Capacchione risalgono al 2008, quando durante il processo di secondo grado Spartacus a Napoli, il boss Bidognetti e il suo avvocato Santonastaso pronunciarono in aula parole intimidatorie rivolte direttamente ai due giornalisti. Secondo la sentenza, le minacce erano parte di una precisa strategia della cosca dei Casalesi per rafforzare il proprio controllo sul territorio e intimidire chi raccontava le attività del clan. Il tribunale ha riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso, sottolineando come l’obiettivo fosse colpire chi, attraverso l’informazione, metteva in discussione il potere criminale.
Un processo simbolo della lotta alla criminalità organizzata
Il processo che ha coinvolto Roberto Saviano e Rosaria Capacchione ha rappresentato un caso unico nella storia giudiziaria italiana: per la prima volta, in un’aula di tribunale, boss mafiosi hanno pubblicamente accusato i giornalisti di essere responsabili delle loro condanne, mettendo così il giornalismo al centro del mirino della camorra. Dopo sedici anni di vicende giudiziarie, la conferma delle condanne in Appello rafforza il messaggio che la giustizia è determinata a proteggere chi si espone per raccontare la verità. Lo stesso Saviano, visibilmente commosso dopo la sentenza, ha dichiarato: “Mi hanno rubato la vita”, sottolineando quanto sia stato pesante il prezzo pagato per il suo impegno civile.
Il ruolo della stampa e la reazione delle istituzioni
La vicenda ha visto la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Ordine dei Giornalisti costituirsi parte civile, a testimonianza dell’importanza della tutela della libertà di informazione in un contesto segnato da minacce e pressioni. Il caso ha avuto grande risonanza anche per il fatto che Saviano, già sotto scorta dal 2006 per precedenti intimidazioni, ha rappresentato un simbolo della lotta alla camorra e della difesa dei valori democratici.
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